L’escursione di oggi ha tante motivazioni, le infilo un po’ così, in ordine sparso: la necessità di mettere nelle
gambe un buon dislivello per allenarci all’imminente settimana in Valle D’Aosta, quella di far conoscere a Marina
qualcosa che somigliasse molto alla salita all’Amaro che vorremmo mettere in cantiere, e per ultima, la più semplice,
la grande voglia di Majella da troppo tempo lontana dai nostri obiettivi; favorevole la vicinanza da Ascoli, ci siamo
diretti verso la madre di tutte le montagne. Decidiamo per la salita al monte Rapina, per la lunga cresta che bordeggia
la valle dell’Orfento, è probabile che ci scappi il prolungamento fino al Pescofalcone, è lunga, sarà comunque un buon
allenamento e Marina da quelle parti non c’è mai stata, sarà anche una prova di avvicinamento al tanto agognato monte Amaro.
Raggiungiamo Caramanico e poi San Nicolao, con un pò di difficoltà ritrovo l’imbocco della stradina per Guado S.Antonio,
non ricordavo l’imbocco che sta un paio di km dopo il piccolo borgo, a sinistra della strada sull’incrocio un cartello in
legno fai da te ne indica la direzione. Quando molti anni venni da queste parti la strada che raggiungeva il valico mi
sembrò lunga e stretta, questa volta non mi è sembrata troppo lunga ma stretta si, molto stretta, nella maggior parte del
suo profilo è quasi proibito incontrare un’altra auto nel senso opposto; per fortuna ci è andata bene, sia in salita che scendendo il pomeriggio.
Raggiungiamo lo stretto valico di Guado Sant’Antonio, 1220m di altezza, che il piccolo spiazzo era già quasi al completo,
riusciamo a parcheggiare, i prossimi che sarebbero arrivati avrebbero trovato qualche problema; imbocchiamo la sterrata
che sale sulla destra dello spiazzo, in leggera pendenza verso il vicino stazzo di Guado S.Antonio (sulle carte è elevato
a rifugio ma di fatto è uno stazzo di un pastore, abitato nel periodo estivo e con tanto di recinto per le greggi), pochi
metri prima dello stazzo una palina devia il sentiero sulla destra, si scende dentro un fosso e si risale sul versante opposto
la dorsale larga della Macchialonga che prende a salire con pendenza costante e senza pause fino al rifugio Barrasso, 1542m;
il profilo del sentiero è sottile e inciso tra una distesa di erba alta e arsa dall’estate, non ci sono quasi segnaletiche ma
non servono, senza difficoltà si raggiunge il rifugio, in bella posizione poco sotto una fitta boscaglia (+50 min).
Il rifugio è aperto, un tavolo, poche vettovaglie, una stufa a legna ed una panca sono gli unici arredamenti, per passarci una
giornata va anche bene, meno per passarci una notte a meno che non si sia in condizioni di emergenza; dal rifugio continuando di
traverso sulla sinistra continua la traccia fino a raggiungere lo spigolo dell’ampia dorsale che aggetta sulla valle dell’Orfento (+20min.),
immediatamente risaltano, sul versante opposto della valle, le stratificate e verticali bastionate rocciose popolate da fitta boscaglia,
restituiscono lo stesso senso di isolamento che ha provato chi è salito all’eremo di san Giovanni che è impossibile da individuare ma si
trova da qualche parte ben incastrato tra le sinuosità di quelle pareti fuori dal mondo.
Raggiunta la dorsale intorno quota 1650m una palina indica inevitabilmente di continuare sul filo, in salita, verso destra, prati ampi,
ogni tanto interrotti dalle prime colonizzazioni dei Mughi, vari risalti erbosi continuano fino a sconfinare sull’orizzonte, sulla cresta
più ripida e più stretta che sembra un tutt’uno con quella del Pescofalcone; il Rapina, la sua vetta, non si vedono ancora. Quota 1950m,
quella che illude sempre di aver raggiunto la vetta del Rapina, un piattone erboso che dal basso, dopo un paio di risalti, sembra non
avere più nulla sopra oltre al Pescofalcone, quando si raggiunge si spalanca davanti un pianoro erboso, una leggera conca che si fa
aggirare sul filo della dorsale a sinistra, più avanti a circa 1 chilometro si alza di poco il Rapina, che raggiungiamo senza problemi (+2,10h).
Dalla cima del Rapina, come del resto per tutta la salita (l’escursione certamente non offre varietà di panorami, per quanto belli sono
sempre gli stessi) si impone un orizzonte molto vasto, la valle si allunga fino al passo di San Leonardo si definisce e si esalta nel
profilo del muro del Morrone che la contiene sul versante opposto; a Nord si percepiscono appena confuse nell’umidità dell’aria le più
alte vette del Gran Sasso mentre a Nord Est la costante è l’immenso solco del vallone dell’Orfento con i suoi tormentati e scoscesi versanti.
Il Pescofalcone è tutto lì sopra, 600m da salire senza sosta, è presto decidiamo di continuare a salire; dalla cima del Rapina la linea
di cresta è interdetta, un intrico senza fine di Mughi rende impossibile ogni approccio, riscendiamo una manciata di metri indietro per
intercettare, sul versante che da sull’Orfento un ometto con tanto di bandierina, da lì parte un evidente sentiero che traversa il versante,
prima allo scoperto nel tratto iniziale poi più o meno dentro una trincea (artificiale, seghe e maceti hanno fatto bene la loro parte)
che attraversa l’intricata selva di Mughi; qualche centinaio di metri e seguendo l’evidente traccia e qualche segnale si ritorna in cresta,
voltandosi indietro la cima del Rapina è a meno di 300m., la distesa di Mughi appare ancora più compatta e impenetrabile.
Davanti solo salita ripida e costante, si attraverseranno ghiaioni, piccoli assembramenti di Mughi, tratti di cresta facile con belle
visuali sulla valle dell’Orfento e su una sua deviazione laterale che sale fino ai Tre Portoni, un breve tratto di una larga e affatto
esposta cengia che scorre sotto il muro roccioso che forma un tratto di cresta fino ad atterrare sul piattone sommitale dove sporge in
bella vista una croce, quota 2600m circa (+2,45h). Il cippo di vetta del Pescofalcone si perde nella distesa di piccole gobbe, servono
altri 15 min. per raggiungere i 2657m della vetta da dove la vista raggiunge buona parte delle grandi cime del versante Nord della Majella,
dall’Amaro all’Acquaviva, dal lontano Altare al Sant’Angelo, dal Rotondo al Focalone e dove la costante è dettata dall’inconfondibile tono
rosaceo delle distese di pietre calcaree di cui è composta la montagna madre.
Viene voglia di raggiungere il rosso bivacco in vetta all’Amaro, poco è il dislivello, almeno 6 però i chilometri tra andata e ritorno, sono
questi ed il tempo che serve a percorrerli che ci distraggono subito dal proposito, ci accontentiamo di quello che abbiamo fatto e dopo
esserci coperti col guscio, il vento ci ha immediatamente raffreddati, ci siamo concessi una lunga, silenziosa bellissima sosta seduti su
dei grossi massi accanto alla vetta.
Inutile dire che è stato un bel momento, le nuvole mutevoli cambiano di continuo il colore dell’orizzonte e delle aride cime delle montagne,
i raggi del sole che riuscivano a filtrare tra le nuvole incipriavano i profili e le spianate pietrose; linee morbide e quasi piatte del
pianoro sommitale si scontravano con quelle più ardite e ripide delle scoscese fiancate del Rotondo, del Sant’Angelo e dell’Amaro stesso,
la magia della Majella di queste altezze ti arriva dentro, forte e delicata insieme, ho l’impressione che in quei momenti la mia mente fosse
come vuota, persa, ipnotizzata e concentrata solo a vivere ciò che ricevevo dall’esterno. Magia appunto.
La discesa è avvenuta per lo stesso tragitto della salita, più veloce, inutile dirlo; concentrati solo nel seguire le tracce del sentiero
abbiamo dato poco risalto al resto, gli orizzonti erano gli stessi della mattina, più corti per via della più scarsa visibilità e delle
nuvole che nel frattempo si erano accumulate e minacciavano anche pioggia. Per fortuna l’abbiamo scampata, al rifugio Barrasso è tornato a
splendere il sole, e a questa quota si è fatto anche risentire il caldo ma ormai era fatta, raggiungiamo Guado sant’Antonio dopo 2,45 ore
dalla partenza in vetta, il parcheggio è quasi vuoto, quando ci muoviamo lasciamo solo un camper che da quello che potevamo capire ci
avrebbe passato la notte. Il notevole dislivello (1500mt) non ci ha dato granchè fastidio, solo un po’ di stanchezza nelle gambe ma
pensavo peggio, la prova generale per le salite in Val D’Aosta è andata bene, voglio pensare che sia anche una preparazione per poter
raggiungere quel bivacco rosso lassù in cima, meta sognata da Marina e in questi ultimi tempi molte volte accennata da mio fratello.
Sarà bello poterceli accompagnare, di tempo ce ne è, speriamo si possa fare prima che nevichi.